Crescere nel caos: un’analisi psicologica del recente report dell’UNICEF
“Non ereditiamo la Terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli.”(Proverbio nativo americano).
In un mondo sempre più instabile, attraversato da crisi sanitarie, conflitti, cambiamenti climatici e accelerazioni tecnologiche, il benessere psicologico e relazionale di bambine, bambini e adolescenti appare sempre più compromesso. Il recente Innocenti Report Card 19 dell’UNICEF (2025) delinea un quadro allarmante: nei paesi ad alto reddito, la soddisfazione per la vita degli adolescenti è in calo, aumentano i casi di sovrappeso, le competenze scolastiche si riducono, mentre la salute mentale, pur monitorata con pochi indicatori, mostra segnali di affaticamento strutturale. Emerge così una contraddizione drammatica: le società che offrono maggiori risorse economiche non riescono a garantire una crescita emotiva ed esistenziale sana per le nuove generazioni.
Alla luce di queste evidenze, da un punto di vista psicologico strategico, sarebbe utile spostare lo sguardo: non tanto sui sintomi, quanto sulle dinamiche che li producono e mantengono. Il disagio degli adolescenti non può essere letto solo come esito di eventi traumatici o deficit individuali, ma come risposta disfunzionale a contesti che non sostengono l’identità, non offrono contenimento, né modelli autorevoli da cui apprendere. La salute mentale diventa quindi una funzione adattiva, frutto della relazione tra individuo e ambiente: quando questa relazione si inceppa, nascono ansia, apatia, impulsività, disturbi del comportamento o somatizzazioni.
I dati del report parlano chiaro: la soddisfazione di vita degli adolescenti è in discesa in quasi tutti i paesi analizzati. Le ragazze riportano livelli inferiori rispetto ai ragazzi. L’uso eccessivo dei social media è correlato a un minore benessere percepito, ma anche l’assenza totale di connessione può coincidere con isolamento e disagio. Il punto, allora, non è la tecnologia in sé, ma l’uso che se ne fa: un uso compensatorio, guidato dal bisogno di riempire vuoti affettivi e identitari, tende a generare dipendenza e sofferenza. Al contrario, se inserito in una rete di relazioni significative, può persino favorire il senso di appartenenza.
La dimensione corporea è un altro segnale potente del malessere: l’aumento del sovrappeso non è solo frutto di cattive abitudini alimentari, ma spesso di un tentativo di autoregolazione emotiva attraverso il cibo. Quando mancano relazioni rassicuranti, regole coerenti e senso di prospettiva, il corpo diventa teatro di sintomi: si mangia, ci si isola, si dorme troppo o troppo poco, si ricerca l’euforia compulsiva del digitale per compensare una realtà vissuta come vuota o frustrante.
Il mondo contemporaneo, definito nel report come “policrisi”, disorienta perché priva di orizzonti certi. I giovani vivono nel presente, ma respirano continuamente ansie legate al futuro: cambiamento climatico, guerre, crisi economiche, precarietà lavorativa. A tutto questo si aggiunge una trasformazione profonda delle strutture familiari: meno figli, meno tempo condiviso, più solitudini abitate da genitori distratti o in difficoltà. In questo scenario, è sempre più difficile per gli adolescenti costruire una narrazione di sé coerente, autonoma, capace di proiettarsi in avanti.
Tuttavia, non è sufficiente aumentare le diagnosi o potenziare i servizi psicologici. Il cambiamento richiede un’azione sistemica, che coinvolga la famiglia, la scuola, i media, la politica. Serve un’educazione affettiva e relazionale che restituisca agli adolescenti la possibilità di costruire senso, scegliere, agire. Serve una scuola che non si limiti a istruire, ma insegni a pensare, sentire, convivere. Serve una genitorialità presente, capace di ascoltare senza giudicare e guidare senza controllare.
Il cambiamento è possibile se agiamo sui processi, non solo sui contenuti. La salute mentale non si costruisce trasmettendo concetti, ma facilitando esperienze che modificano la percezione e conseguentemente le reazioni. In questa prospettiva, l’intervento educativo e psicologico non deve fornire risposte, ma costruire le domande giuste. È il dubbio creativo, la possibilità di vedere la realtà da nuove angolazioni, che permette di superare il blocco e generare soluzioni.
Nel cuore del disagio contemporaneo c’è spesso un vuoto di senso. I bambini e gli adolescenti non chiedono solo sicurezza o competenze, ma figure che diano significato, che incarnino valori, che aiutino a tracciare un cammino in un mondo che appare frammentato. Come scriveva Viktor Frankl “quando non possiamo più cambiare una situazione, siamo sfidati a cambiare noi stessi.” È questo il passaggio cruciale che ogni adolescente è chiamato a compiere: scoprire dentro di sé la possibilità di reagire in modo nuovo, creativo, trasformativo. Compito degli adulti è preparare il terreno, rendere possibile questo salto.
La buona notizia è che il cambiamento è possibile. Non abbiamo il potere di cancellare l’instabilità del mondo, ma possiamo offrire ai giovani strumenti per restarvi in piedi. E costruire, insieme, un futuro che non sia solo un luogo da temere, ma da immaginare.
JG
Articolo pubblicato su SienaNews
Innocenti Report Card 19 - Il benessere di bambine, bambini e adolescenti in un mondo imprevedibile