Disintossicarsi dallo smartphone: cosa accade al cervello dopo 72 ore senza schermo

Spegni il telefono. Mettilo via. Tre giorni senza toccarlo. Cosa succede al nostro cervello se smettiamo di usare lo smartphone per 72 ore? Se pensi “niente”, potresti ricrederti.

Un recente studio dell’Università di Heidelberg, pubblicato su Computers in Human Behavior, ci porta nel cuore di questa domanda, esplorando con l’ausilio della risonanza magnetica funzionale (fMRI) i cambiamenti che avvengono a livello cerebrale quando si priva un giovane adulto del suo compagno più fedele: lo smartphone.

Non si parla più semplicemente di un’abitudine o di un uso intensivo: i ricercatori affrontano il problema da una prospettiva che richiama esplicitamente le dinamiche della dipendenza comportamentale, come nel caso del Cybersex, che talvolta assume la forma di un disturbo ossessivo-compulsivo, o dell’Internet Gaming Disorder. Il concetto chiave, qui, è quello di cue reactivity, ossia la reazione cerebrale a segnali associati alla gratificazione. In sostanza, cosa accade quando un oggetto che evoca desiderio – in questo caso, lo smartphone – viene improvvisamente a mancare?

I ricercatori hanno osservato che nonostante i partecipanti non riportassero un aumento significativo del desiderio di usare lo smartphone, il loro cervello raccontava un’altra storia.

Dopo 72 ore di restrizione, si è osservato un incremento dell’attività in regioni chiave legate alla ricompensa. Questo significa che il desiderio era presente a livello implicito, subcorticale, anche se non sempre percepito consapevolmente. Al passare del tempo, in assenza del dispositivo, il cervello inizia ad abbassare il volume dell’attesa, riducendo la salienza dello stimolo. Ma l’aspetto forse più inquietante è la correlazione tra i punteggi di depressione e l’attività del cervello: maggiore era il livello di sintomi depressivi, maggiore era la reattività cerebrale agli stimoli legati allo smartphone. Questo suggerisce che, per alcuni, il telefono rappresenta una sorta di automedicazione digitale, un modo per colmare un vuoto o placare un disagio emotivo. Dal punto di vista neurochimico, i cambiamenti osservati nelle aree cerebrali più attivate dopo la restrizione sono risultati fortemente associati alla distribuzione dei recettori dopaminergici e serotoninergici, li stessi implicati nelle dipendenze da sostanze.

Questi risultati confermano l’ipotesi che l’uso eccessivo dello smartphone possa condividere meccanismi neurali comuni con le dipendenze tradizionali.

La psicologia strategica insegna che il problema non risiede tanto nell’oggetto, quanto nella relazione disfunzionale che instauriamo con esso. Lo smartphone, in sé, non è un male: diventa problematico quando risponde a un bisogno compulsivo, a una fuga dalla realtà, a una compensazione emotiva. Questo studio sembra confermare questa lettura: il nostro cervello, privato dello stimolo, va alla ricerca di un equilibrio, attivando regioni deputate al controllo, alla gratificazione e alla regolazione del comportamento.

È come se, durante l’astinenza, il cervello cercasse di adattarsi, di “disintossicarsi” lentamente. Ed è proprio in quest’ottica che l’assenza può diventare un’opportunità. Infatti, dopo 72 ore di restrizione, alcune regioni deputate al controllo inibitorio – come la corteccia prefrontale – mostravano una maggiore attivazione, segnale che forse il cervello stava iniziando a rafforzare la sua capacità di controllo sugli impulsi. È un dato che fa riflettere: bastano tre giorni per osservare un primo cambiamento funzionale. Nonostante non siano emerse differenze significative nei punteggi relativi all’umore prima e dopo la restrizione, molti partecipanti hanno riferito soggettivamente una sensazione di maggiore benessere, qualità del sonno migliorata e maggiore presenza mentale.

Le implicazioni di questo studio sono molteplici. In ambito educativo, potrebbe essere utile proporre periodi brevi di disconnessione, come esperimenti scolastici di “digital detox”, per stimolare nei ragazzi una riflessione critica sull’uso dello smartphone e favorire lo sviluppo dell’autoregolazione. In psicoterapia, l’uso strategico del programmare nell’arco della giornata momenti per accedere al digitale, conduce a prenderne il controllo anziché esserne controllati e crea nuove modalità di percepire e reagire alla realtà. Anche in ambito clinico-preventivo, questo studio rafforza l’idea che l’uso problematico dello smartphone possa essere una spia di vulnerabilità affettive più profonde, come la depressione o l’alessitimia. Intervenire precocemente su queste dinamiche potrebbe prevenire l’aggravarsi del disagio psichico.

Il dato più importante, però, è forse uno: la nostra relazione con lo smartphone non è solo cognitiva o comportamentale. È profondamente emotiva, oltre che neurologica. Quando lo smartphone scompare, il nostro cervello cambia, le nostre emozioni cambiano. Le aree della ricompensa si accendono, l’inibizione si rafforza, l’attenzione si riorienta. È un segnale potente: non siamo semplici utenti, siamo organismi adattivi, capaci di disconnettersi e riappropriarsi di sé. Ma per farlo, serve un tempo di silenzio. Una distanza. La vera sfida, oggi, non è rinunciare allo smartphone, ma imparare a scegliere. Non essere trascinati dalla notifica, ma scegliere noi quando accedervi. E forse scoprire che, al di là dello schermo, esiste ancora un mondo. E un sé.

JG

Articolo pubblicato su SienaNews

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