Diventare sé stessi: la costruzione strategica dell’identità nell’adolescenza

L’adolescenza è una soglia fragile e potente allo stesso tempo. È il punto in cui il mondo interiore si dilata e si intreccia con quello esterno, dove ciò che si era da bambini non basta più e ciò che si diventerà da adulti non è ancora chiaro. È in questa fase di passaggio che si compie uno dei processi psicologici più determinanti per l’intera esistenza: la costruzione della propria identità.

Non si tratta di un dettaglio, ma di un asse portante. “Diventare qualcuno” non significa semplicemente scegliere un mestiere o assumere un ruolo sociale: vuol dire riconoscersi, trovare un centro stabile dentro di sé, costruire un senso di coerenza personale. La psicologia ci insegna che senza questa base l’individuo è come una casa costruita su fondamenta di sabbia: vulnerabile alle pressioni esterne, alle mode, ai giudizi, ai bisogni altrui.

Uno dei contributi più importanti al tema dell’identità adolescenziale viene da Erik Erikson, che definì l’adolescenza come la fase della “crisi di identità vs. confusione di ruolo”. Non si tratta di un passaggio opzionale, ma di una vera e propria sfida evolutiva: da una parte la possibilità di definire chi si è, dall’altra il rischio di smarrirsi in un mare di aspettative contraddittorie. In termini strategici, l’identità agisce come una bussola interna. Chi sviluppa un’identità coerente è in grado di orientarsi nelle decisioni — anche in condizioni di pressione — perché possiede un set di valori e riferimenti interni a cui tornare. Chi invece non la sviluppa resta perennemente dipendente dagli orientamenti esterni, oscillando tra modelli imposti, imitazioni e fughe. È importante sottolineare che l’identità non è qualcosa che “si trova” come un oggetto nascosto: è un processo di costruzione attiva. Ogni adolescente seleziona inconsapevolmente pezzi di esperienze, modelli di riferimento, desideri, conflitti e paure, costruendo una narrazione personale che dice: “Io sono questo”.

Un aspetto cruciale della costruzione identitaria è la capacità di differenziarsi. In psicologia, la differenziazione non è ribellione cieca, ma la capacità di separare ciò che appartiene autenticamente a sé da ciò che è stato assorbito dall’esterno. Durante l’adolescenza, il bisogno di appartenenza è fortissimo: il gruppo dei pari, la famiglia, la cultura, i social, i modelli di successo. Tutti questi elementi esercitano un potere modellante. L’adolescente strategicamente sano non respinge tutto, ma impara a discernere. Si può essere parte di un gruppo senza annullarsi in esso, si può condividere valori familiari senza diventare un clone dei genitori, si può ammirare un modello senza imitarlo ciecamente. La differenziazione è la radice della libertà psicologica.

Un errore comune è pensare all’identità come qualcosa di statico: “Io sono così e basta”. In realtà, un’identità solida non è rigida ma dinamica. È una struttura interna abbastanza stabile da dare coerenza, ma sufficientemente flessibile da adattarsi alle trasformazioni della vita. Un adolescente che costruisce la sua identità non sta scolpendo una statua immutabile, ma imparando a danzare con se stesso nel tempo. I valori fondamentali agiscono come pilastri, ma attorno a essi la forma può evolvere. In questo senso, la strategia psicologica più funzionale è quella che favorisce la sperimentazione consapevole. Provare ruoli, idee, relazioni, ambienti diversi permette di “testare” chi si è e cosa risuona con la propria autenticità. La confusione non è un fallimento: è parte del processo. Il problema nasce quando la sperimentazione si trasforma in dispersione senza ancoraggi interni.

La costruzione dell’identità non avviene nel vuoto. L’ambiente circostante gioca un ruolo determinante. La famiglia, ad esempio, può sostenere o ostacolare questo processo. Un ambiente troppo rigido soffoca la possibilità di esplorazione e differenziazione, producendo identità eterodirette. Un ambiente troppo permissivo, al contrario, priva l’adolescente di punti di riferimento stabili, generando confusione e disorientamento. La strategia più efficace è quella del “contenimento flessibile”: regole e limiti chiari, ma spazio sufficiente per esplorare e scegliere. Il messaggio implicito è: “Puoi diventare te stesso, ma dentro una cornice che ti protegge mentre cresci”. Anche i pari hanno un ruolo importante. Appartenere a un gruppo fornisce sicurezza e senso di appartenenza, ma solo se non implica annullamento. Qui si misura la capacità dell’adolescente di essere parte senza dissolversi.

Nell’era digitale, la costruzione dell’identità si intreccia inevitabilmente con la dimensione virtuale. Le piattaforme social offrono agli adolescenti infiniti specchi in cui riflettersi — ma non sempre questi specchi restituiscono immagini autentiche. Il rischio è quello di costruire un’identità performativa, modellata per ottenere like e approvazione, anziché per esprimere se stessi. Questo può creare una dissociazione interna: ciò che si mostra non coincide con ciò che si è, e il senso di sé si frammenta. Un’identità autentica, invece, nasce dall’interno e si manifesta all’esterno, non il contrario. Educare i giovani a questa consapevolezza è oggi un compito cruciale.

Molti adolescenti vivono con angoscia la sensazione di “non sapere chi sono”. Questa paura è fisiologica: l’identità non è data, ma costruita. È come trovarsi davanti a una tela bianca, con la responsabilità di dipingere la propria immagine.
Da un punto di vista strategico, l’errore sta nel cercare risposte immediate e definitive. L’identità non si impone dall’alto, si costruisce camminando. È fatta di prove, errori, intuizioni e revisioni. “Chi sono?” non è una domanda a cui si risponde una volta per tutte, ma una direzione verso cui si cammina.

Ogni crisi identitaria adolescenziale, per quanto dolorosa, porta in sé un potenziale di trasformazione. La crisi costringe a interrogarsi, a separare ciò che è imposto da ciò che è scelto, a prendere posizione rispetto a se stessi.
Da un punto di vista psicologico strategico, l’obiettivo non è evitare la crisi, ma saperla attraversare. Un’identità solida non nasce in assenza di conflitti, ma nella capacità di trasformare il conflitto in definizione.

Costruire la propria identità nell’adolescenza non è solo un processo psicologico: è un atto di autodeterminazione. Significa scegliere di essere protagonisti della propria vita invece che spettatori di quella altrui. Significa imparare a orientarsi nel caos, a filtrare l’influenza degli altri, a trovare un punto fermo nel mare del cambiamento. Come scrisse Carl Gustav Jung, “Il privilegio di una vita è diventare chi sei veramente”. Ogni adolescente che affronta questa sfida non sta semplicemente crescendo: sta costruendo la base invisibile della propria libertà. E la libertà, in ultima analisi, nasce sempre da un’identità riconosciuta, scelta e difesa.

JG

Articolo pubblicato su SienaNews

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